Anche in Sicilia il reddito di cittadinanza

La crisi economica azzanna e a soffrire sono tutti i redditi. I livelli di benessere si modellano verso il basso schiacciando la fascia più bisognosa. Eppure in Sicilia niente si muove. Le organizzazioni sociali denunciano la presenza di famiglie che non hanno più nulla. Ma la struttura assistenziale rimane ancorata a un passato immobile e inefficiente.
L’Unione Europea ha elaborato degli indicatori per stabilire se c’è rischio di povertà per quanti vivono almeno una di queste situazioni:
– persone che vivono in famiglie con un reddito disponibile, dopo i trasferimenti sociali, inferiore al 60 per cento del reddito mediano;
– grave deprivazione materiale: persone che vivono in famiglie che dichiarano almeno quattro gravi difficoltà materiali fra le nove indagate (pagare regolarmente le bollette o l’affitto; sostenere spese impreviste; fare una settimana di ferie all’anno; assumere un pasto adeguato almeno ogni due giorni; riscaldare in modo adeguato l’abitazione, eccetera);
– intensità lavorativa molto bassa: persone che vivono in famiglie in cui, nell’anno precedente, gli adulti hanno lavorato meno del 20 per cento del loro potenziale.
Ma anche nella povertà esistono due Italia e due Sud:
nel Nord la percentuale di persone a rischio povertà o esclusione è simile alla Svezia o alla Finlandia, in vetta alla classifica (14% nel Nord-Est e 15,6 nel Nord-Ovest, con punte dell’11,1 nel Trentino e del 13,4 in Valle d’Aosta);
al Sud siamo vicini alla Romania e alla Lettonia, condividendo con questi Paesi gli ultimi posti (44,4% nelle Isole e 38,7 nel Sud, con punte di 49,3 in Sicilia e 42,7 in Campania).
La Sicilia è il Sud del Sud. E la spesa sociale, invece di contrastare questo stato di cose, lo peggiora aumentando le differenze: per le politiche sociali, al Sud la spesa media pro capite è di 52 euro (di cui 6 per la lotta alla povertà), la media nazionale di 111 (di cui 9 per il sostegno ai poveri) mentre nel Nord-Est è di 155 euro.
Questi scenari da disastro annunciato, se si abbinassero anche all’indice della felicità, ci mostrerebbero una regione a tinte fosche, dove sotto uno splendido sole regna tempesta e burrasca in quasi la metà delle famiglie dell’Isola.
Ci sono dei rimedi? In Europa utilizzano uno strumento di contrasto: il reddito di cittadinanza. In Gran Bretagna, dai 18 anni in su chi non ha un lavoro e non ha risparmi per più di 12.775 euro ha diritto a circa 300 euro mensili per un periodo di tempo illimitato, oltre l’affitto dell’alloggio e assegni per i figli. La Francia prevede l’integrazione del reddito a 425,40 euro mensili per un disoccupato solo, che diventano 638,10 euro se in coppia 765, 72 se la coppia ha un figlio, 893,34 per due figli e 170,16 euro in più per ogni altro figlio.
Le uniche eccezioni in Europa sono Italia e Grecia: i Paesi più indebitati sono quelli che fanno meno o spendono peggio per correggere gli squilibri.
Cosa potrebbe fare la Regione siciliana e il suo governo che annuncia giornalmente buoni propositi e rivoluzioni? In Sicilia ci sono settori di spesa vasti e inefficienti: formazione professionale, forestale, precariato, cantieri di lavoro e società collegate alla stessa Regione. Una vastissima area che assorbe risorse per almeno 2 miliardi dal bilancio regionale. Con la stessa cifra si potrebbe finanziare un reddito di cittadinanza per oltre 400.000 persone. Una robusta immissione di denaro finalizzata al sostegno dei redditi e non degli apparati che funzionerebbe da forte ammortizzatore sociale e da paracadute contro la depressione dei consumi, oltre che come concreto sostegno alle imprese. Il vero supporto contro la povertà lo avremo se la gente che ha bisogno non dovrà chiedere e invocare i santi del potere grande e piccolo per rivendicare un diritto elementare: essere cittadini autonomi e indipendenti.
Senza contare il contrasto alla criminalità. Da sempre ‘cosa nostra’ abbina dominio territoriale, sostegno economico per i suoi affiliati e illusione di facile corridoio al reddito per la fascia di sostegno che in Sicilia è quantificata in decine di migliaia di persone. Il reddito di cittadinanza spezzerebbe il cordone ombelicale con la fascia di supporto operando una rivoluzione. Ma questa è un’altra storia su cui tornare in maniera più diffusa.

 


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