Palermo, perché vedo Orlando sindaco

L’approvazione della manovra Monti per salvare l’Italia apre inediti scenari che si declinano localmente nelle maniere più articolate e particolari, con un impatto decisivo sul destino futuro di comunità e di territori. Cercheremo in questo articolo di considerare tali effetti sul piano socio economico e politico istituzionale.
Palermo è attualmente la città italiana in fondo alla classifica stilata annualmente in ordine a una molteplicità di indicatori che definiscono il livello complessivo di qualità della vita; la disoccupazione giovanile è tra le più alte d’Europa; l’impatto della riforma appena varata comporterà effetti negativi sulle attività libero professionali, del commercio al dettaglio e di ciò che resta dell’artigianato.
A sostenere i consumi resta la categorie degli impiegati pubblici e, per essere ancora più precisi, dei dirigenti con un reddito mensile netto superiore a tremila euro. Ciò non è destinato a durare a lungo poiché la prossima, inevitabile manovra, stavolta nel quadro di più stringenti accordi europei, da cui il Regno Unito si è chiamato fuori, toccherà il pubblico impiego con massicce riduzioni del personale degli enti locali, ci auguriamo a partire dai più vicini all’età pensionabile. Nascondere questa allarmante prospettiva ai cittadini equivale a tenere lo stesso colpevole atteggiamento assunto per oltre dieci anni circa il futuro degli operai della Fiat di Termini Imerese, dando ad intendere che, ancora una volta, tutto si sarebbe sistemato. Si aggiunga che la progressiva privatizzazione delle ex Aziende Municipalizzate immetterà nel dramma della disoccupazione migliaia di persone con livelli di contribuzione nulli o inesistenti.
Nel frattempo, si avvertono i segni tangibili dell’impoverimento ulteriore della classe media che, azzerati i risparmi (pochi), scivola giorno dopo giorno nella riduzione dei consumi prima e nel ricorso a forme di solidarietà inter familiari, se non quando verso soggetti privati assistenziali quali Caritas e Banco Alimentare.
Non illudano eventi incomprensibili – o meglio comprensibilissimi – quali l’apertura di nuove sedi di griffe dell’alta moda (ci piacerebbe conoscere i nominativi dei molti dipendenti e le modalità di reclutamento) o il mantenimento di quote di mercato da parte del cosiddetto segmento “lusso” sovente alimentato da riciclaggio e da lavoro nero. La fine del segreto bancario e delle transazioni in contanti oltre mille euro influirà pesantemente anche su tale settore e rivelerà molte sorprese, svelando come sia stato possibile che esse abbiano trovato sede, ormai da anni, in una delle grandi città italiane, tra le più povere del Paese…
Palermo non dispone di una classe dirigente che, oltre ogni appartenenza politica, sia in grado di affrontare lo scenario delineato. Larga parte dei professionisti e degli imprenditori dipende dai pagamenti delle pubbliche amministrazioni la cui insolvenza, com’è noto, ha raggiunto livelli stratosferici. In molti casi, vista l’assenza di criteri meritocratici ad ogni livello, la dipendenza non è solo economica ma soprattutto politica e clientelare.
Né si può contare sul futuro a breve delle generazioni. Le più mature sono alla prese con interminabili studi universitari strutturati più per prolungare la sopravvivenza di docenti e personale tecnico che effettivamente in grado di abilitare a competenze utili al mercato del lavoro domestico e (figuriamoci) internazionale. Le più giovani trascorrono la propria infanzia ed adolescenza in edifici fatiscenti o pericolanti – quasi tutti fuori norma ed aperti solo per l’abnegazione di dirigenti scolastici che rischiano in prima persona – dove genitori di buona volontà si sostituiscono agli enti preposti (Comune e Provincia) per l’ordinaria manutenzione, per le spese di riscaldamento, per i generi di cancelleria e persino per quelli sanitari di primissimo livello.
La cornice di tale quadro, già deprimente, è uno stato di massimo allarme dell’ambiente urbano, sporco, inquinato in modo allarmante, privo di ogni garanzia circa le sicurezze minime: puliranno la strada? colmeranno la buca che ha già fatto vittime tra anziani e motociclisti? sostituiranno le lampade dei lampioni stradali? passerà l’autobus dalla fermata annunciata da un cartello forse fuori servizio?
E’ l’incertezza, dunque, la cifra dominante nel sentimento collettivo ed individuale. Essa induce, come spesso a Palermo, a cercare protezioni per sé e per la propria famiglia, che rappresentano l’anticamera della rinnovata rilevanza di mafie e consorterie di ogni genere.
In altre realtà territoriali una situazione come quella descritta genera sdegno, rivolta, mobilitazione di singoli cittadini e di soggetti politici che vanno oltre il contingente e cercano nella logica del progetto l’unica possibile via di uscita, se non per se stessi, almeno per le generazioni future.
A Palermo, ciò non accade. Condizionata da una pesante eredità storica e culturale, la sensibilità cittadina si anima solo in presenza delle scadenze elettorali, spesso ancora una volta alla ricerca di “uomini” (“o di donne”) più o meno della Provvidenza, cui affidare tutto: leadership, progetto, programma, pagando con la moneta del proprio consenso, salvo poi a lasciare sole o essere lasciati al proprio destino dalle medesime persone.
E’ illusorio pensare che tale cultura della non partecipazione – vera e consapevole e non ristretta a pochi evanescenti movimenti spesso emanazione di singoli candidati o candidabili – possa essere ribaltata in pochi mesi. E possibile invece costruire la nuova esperienza elettorale della città inserendo nella progettualità richiesta al nuovo sindaco tale aspetto con modalità strutturate che accompagnino l’azione politico amministrativa, parallelamente a quella istituzionale, di Giunta e Consiglio. Da questo punto di vista gli istituti di partecipazione previsti dallo Statuto del 1994 possono essere ulteriormente implementati.
Il progetto per Palermo non è dunque la somma di interessi, assolutamente legittimi (non sempre), espressi da portatori singoli o associati degli stessi ma è, innanzitutto, una visione nitida di ciò che si vuole la città diventi nell’arco di uno o due mandati affidati allo stesso Sindaco di cui giudicare semestralmente, non come atto dovuto ma come rinnovo o meno della fiducia concessa, l’operato di governo, le realizzazioni, i risultati e correggere la rotta finché si sarà stati in tempo.
Una visione del futuro della città cui educare i più giovani già nelle scuole, nelle famiglie, nelle associazioni giovanili perché se ne innamorino e ne facciano un legame stretto con i propri destini personali. Educare, tuttavia, servirà a poco, se i messaggi dell’ambiente, la pubblicità consentita, i comportamenti privati e pubblici degli adulti saranno stati di segno opposto.
Dunque, solo disponendo di una visione complessiva, acquisteranno coerenza le singole azioni amministrative, le scelte delle competenze tecniche necessarie, la priorità nell’uso delle risorse, la verificabilità periodica dei risultati, rimovendo ogni ridondanza procedurale e ogni inerzia di cultura e pratica gestionale di taglio manageriale, in atto non presente in alcuna organizzazione cittadina.
Si tratta allora di ri-costruire un rapporto tra città e governo della medesima, sottratto all’arroganza dei singoli partiti politici ma anche al velleitarismo di molti movimenti, le cui diversità, seppur, parzialmente giustificate in passato, dovranno lasciare il posto ad una visione condivisa del futuro, costantemente riproposta come criterio del giudizio in corso d’opera dell’operato degli amministratori che orienti le scelte, favorisca il controllo, consenta lo sviluppo di nuove personalità di spessore che imparino dalla pratica della partecipazione – e non dell’abusato populismo – a saper dire dei sì e dei no, entrambi rispettabili e inappellabili.
Il ruolo del prossimo Sindaco– e non vedo alternative, in termini di conoscenza profonda della Città, di statura internazionale e di competenza tecnica, alla candidatura di Leoluca Orlando – sarà dunque quello di traghettare Palermo verso una nuova cultura della partecipazione alla costruzione del Bene Comune.
E ciò, proprio facendo tesoro degli errori personali e collettivi del passato, sapendo bene che, ove dovesse perdersi quest’ultima occasione, Palermo conoscerà tempi – ove possibile – ancora più difficili di quelli che possiamo già oggi vivere, la cui cronaca i nostri figli e nipoti apprenderanno da lontano, perché, con valigie più o meno di cartone, o con semplici diplomi, se ne saranno già andati altrove, come i propri antenati dei primi anni del secolo, in quel mondo possibile dove è dovere, prima ancora che diritto, mettere a frutto il dono della vita, facendone una storia irripetibile e una traccia fertile per chi seguirà.
Come realizzare questa rivoluzione “gentile” ? A mio avviso non si può non ripartire da quelle che in altri contesti si definiscono le” buone pratiche”, sperimentate in questa città,(anche per non sentirsi dire che sono possibili solo altrove) concretamente e con risultati visibili che vennero meno già agli inizi degli anni ‘90 davanti all’avanzata travolgente del berlusconismo in salsa siciliana e alla restaurazione di centri di potere che la ‘Primavera di Palermo’ aveva costretto a nascondersi in attesa di tempi “migliori”.
Non si può, cioè, che ripartire da una visione maggioritaria e condivisa che scelga di generare una città migliore, sostenibile, con un rispetto vero e non da parata di una legalità dal volto umano che capisca, aiuti, sostenga, prima che sia necessario colpire e reprimere.
Una visione maggioritaria che sappia dire molti no e tanti sì e che, riconoscendosi nell’identità delineata nello Statuto, trovi incompatibili scelte opposte a quei valori e di cui proclami la supremazia su interessi privati, ancorché legittimi, che, in forza di appartenenze diverse, pretendono che si ignori il concetto stesso di Bene Comune.
Alcuni esempi possono aiutare a comprendere tale sana intransigenza e la non negoziabilità dei valori che la sostengono:
A Palermo non si costruirà più un metro cubo, se non dopo aver saturato l’immenso patrimonio immobiliare del Centro e delle periferie (le tanto attese Municipalità, vera chiave di volta per gestire la complessità urbana) e risanato quello costituito dall’edilizia popolare e dai servizi connessi, mai realizzati.
A Palermo, la Persona ha la priorità sulle auto e sul trasporto merci che, pertanto, troveranno spazi residuali nell’uso del tessuto urbano la cui concezione dovrà essere imperniata sulla pedonalizzazione totale del Centro Storico, il relativo sviluppo antropico, la sua vocazione artistica e turistica di livello internazionale.
A Palermo, la burocrazia è di proprietà del cittadino azionista e pertanto risponderà del proprio operato secondo criteri di merito, in ogni fase, dal reclutamento al congedo, rintracciando la garanzia del mantenimento del posto, esclusivamente nel conseguimento dei risultati delle rispettive branche dell’amministrazione,
A Palermo la scuola e l’istruzione superiore e universitaria (profondamente riviste anche nel rapporto con l’amministrazione) sono priorità assolute e ad esse va riservato il massimo delle risorse disponibili ed il controllo quanti qualitativo sul personale che vi opera.
A Palermo l’occupazione non è un diritto, nel senso equivoco che l’accesso al lavoro prescinde da ogni sforzo personale prima e dopo l’assunzione, ma un’opportunità ricevuta da garantire e da indirizzare verso la dimensione della micro impresa, da assistere nella misura dovuta e non per sempre, considerando la mobilità dell’impresa uno dei principali motori dello sviluppo dei popoli.
Palermo saluta e non ringrazia: la grande distribuzione che in città assume precari e porta fuori gli utili e le tasse; le griffe di lusso di cui non abbiamo bisogno, visto che per quanti vi fanno ricorso, il costo del biglietto aereo per Roma, Milano, Parigi non è certo un problema; gli impianti industriali non coerenti con la vocazione del territorio e che sottraggono spazi e “aria” alle produzioni e alle filiere che contribuiranno allo sviluppo sostenibile del Territorio; saluta e non ringrazia speculatori che, alimentando sogni impossibili, si stanno sostituendo alla volontà popolare.
Palermo chiude le porte alle Compagnie energetiche fornitrici degli enti pubblici che non concorrano finanziariamente all’istallazione di ogni utile impianto per il risparmio energetico e per l’uso di energie rinnovabili
Palermo rende il più possibile difficile (intanto sul piano del senso comune) l’accesso alle cariche pubbliche ad ogni livello, in assenza di esperienza pubblicamente nota o di competenze certificabili da soggetti indipendenti.
Palermo si dichiara Città Aperta a tutti gli uomini e le donne di ogni continente che scelgono di viverci e, in attesa che questo Paese ne comprenda l’importanza, naturalizza immediatamente, mediante cittadinanza onoraria, i figli che da essi nascono in terra italiana.
Palermo perdona tutti coloro che le hanno fatto del male a patto che se ne vadano via per sempre, in attesa della Giustizia divina, nella speranza dell’auspicabilmente più rapida giustizia umana.
A quanti dei miei venticinque lettori questa necessità forte di nuovo rinascimento potrà apparire un’utopia, ricordo che così sono state definite tutte le grandi conquiste dell’Umanità prima che si realizzassero e chiedo scusa se, nel giorno in cui ho visto la luce in questa mia Città, ho voluto donarle ciò che la ragione, prima del cuore ma non senza di esso, mi ha voluto suggerire.

 

 


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