Il sogno infranto di palazzo d’Orléans

L’ultima puntata di questo ‘medaglione’ su Gianfranco Miccichè la facciamo partire da un raffronto tra la primavera del 2001 e oggi. Dieci anni fa, subito dopo la vittoria di Totò Cuffaro alle elezioni regionali (e, soprattutto, dopo il già citato 61 a zero delle elezioni politiche), il centrodestra siciliano appare imbattibile. I voti, alla fine, definiscono anche il quadro di una società. Danno la misura – se c’è – di un blocco sociale dominante. E tale appariva l’Isola allora: una regione con un blocco sociale moderato in grado di ‘macinare’ qualunque candidatura del centrosinistra. Interessi, rapporti tra politica e mondo economico, assistenzialismo diffuso, se non capillare. In una parola, una Regione autonoma – la Sicilia – con una struttura produttiva fortemente legata alla spesa pubblica (e, forse per questo, fragile).

Di questa Sicilia il centrodestra è il baricentro. Con un accordo tra Forza Italia ‘capitanata’ da Miccichè, il partito di Totò Cuffaro (poco importa se è il Cdu o l’Udc) e Alleanza nazionale. Insieme, le liste di questo schieramento raggiungono, e forse superano, il 65 per cento dei consensi. Sia chiaro: la Sicilia, dopo le elezioni regionali del 1947 (le prime elezioni della Regione siciliana autonoma) che vedono la vittoria delle sinistre, è sempre stata, fino ai nostri giorni, un’enclave moderata. Ma uno schieramento al 65 per cento ed oltre, piuttosto coeso, rappresenta qualcosa di diverso dalle mediazioni con le quali la grande Dc si doveva confrontare per governare la Regione (la Dc, allora, ‘viaggiava’ tra il 36 e il 40 per cento dei consensi, e aveva bisogno dell’apporto di altri partiti per governare: e cioè laici e socialistI: e questo, spesso, non consentiva la governabilità).

 

2001, Gianfranco già pensa alla ‘rivincita’

 

Per certi versi, insomma, il blocco sociale che viene fuori, in Sicilia, nel 2001 sembra più stabile del blocco sociale costruito nella Prima Repubblica dalla Dc dell’Isola. Ma c’è un ‘ma’ che abbiamo già accennato nella puntata precedente. Miccichè tra il 1996 e il 2001 ha toppato. Il pallino non è più nelle sua mani. Tant’è vero che ha dovuto ‘inghiottire’ la candidatura di Cuffaro alla presidenza della Regione. Non è una sconfitta, perché alla fine, va a Roma a fare il ministro. Ma il fondatore di Forza Italia in Sicilia è ambizioso e capriccioso. ‘Figlioccio’ di Berlusconi, che concepisce a vita politica e sociale come una promanazione dei suoi interessi personali, Miccichè, già nel 2001, forse il giorno stesso della proclamazione di Cuffaro a presidente della Regione, medita una ‘rivincita’.

Oggi magari lo negherà. Ma noi siamo convinti di quello che diciamo. E ne siamo così convinti che non abbiamo esitazione ad affermare che i guai di Cuffaro nascono nel ‘cuore’ di Forza Italia. Il Cavaliere e i suoi seguaci di alto rango (e Miccichè è tra questi, se è vero che Berlusconi nutre per lui un affetto speciale: tanto speciale da avergli regalato, almeno in parte, la bella casa di Palermo che si affaccia su piazza Castelnuovo, piazza Polteama per i palermitani), nel 2001, sono troppo potenti e troppo prepotenti per consentire a un ex democristiano di sbarrare la strada niente poco di meno che a uno dei proconsoli del ‘capo’, nonché ‘comandante’ in carica degli azzurri di Sicilia.

 

La ‘genialata-Cammarata’

 

Ma Miccichè, nel 2001, non deve occuparsi solo di avviare il lento logoramento di Cuffaro. C’è anche Palermo. Dove, a novembre, si vota dopo un lungo commissariamento (Leoluca Orlando si è dimesso nel dicembre del 2000 per candidarsi – e perdere – alle elezioni regionali del 2001). Per la poltrona di sindaco di Palermo il leader degli azzurri di Sicilia ha pronto un bel ‘regalo’: Diego Cammarata. Sarà, tanto per cambiare, l’ennesimo errore di Miccichè. A dimostrare che si è trattato di un grande sbaglio non siamo noi: è lo stesso numero uno degli azzurri siciliani che, nella seconda metà del 2000, litigherà di brutto con lui. E prima di ‘spattare’ con Cammarata, Gianfranco romperà con un’altra sua invenzione che avrebbe potuto risparmiarci (e risparmiarsi): Francesco Musotto detto Ciccio.

Musotto, già socialista di terza fila, designato alla presidenza della provincia di Palermo per ignoti motivi, nel 2001, decide, per gli stessi motivi, che deve essere lui il sindaco di Palermo. Contro il parere, ovviamente, di Miccichè che, come già ricordato, per il capoluogo dell’Isola ha scelto l’allora suo sodale Cammarata. Musotto si candiderà lo stesso. E perderà. Perché nonostante la doppia candidatura nel centrodestra, Cammarata vincerà al primo turno.

Dopo aver fatto ‘omaggio’ ai palermitani di un sindaco che combinerà un gran casino con i precari, portando il Comune sull’orlo del dissesto finanziario (tale è oggi il Comune di Palermo, anche se Cammarata dice di no, avendo ‘scaricato’ sulle società municipalizzate tutto il peso dei precari vecchi e nuovi: un peso che è tutto a carico del Comune, o meglio, del governo nazionale, che è intervenuto quattro volte a ‘colpi’ di 30-40-50 milioni di euro cadauno per tenere in piedi questo folle ambaradan), Miccichè vola a Roma. Va ad occupare, come già accennato, la poltrona di sottosegretario con delega al Mezzogiorno. E, soprattutto, va ad organizzare altre ‘trame’.

 

 

 

Il pusher al ministero

 

Nella Capitale ‘scivola’ sulla vicenda di un pusher che entra ed esce dagli uffici del ministero dove opera Miccichè. L’ombra della cocaina – anzi, qualcosa più di un’ombra – aleggia da sempre sulla vita d tanti esponente azzurri. Sono voci, ovviamente, perché in un Paese libero ognuno è libero – fino a un certo punto, però, quando si tratta di uomini pubblici – di fare quello che vuole. La vicenda del pusher al ministero finisce a tarallucci e vino, forse perché la polvere magica non ha colore politico.

Tra il 2001 e il 2006 la presenza di Miccichè, in Sicilia, si avverte meno. Certo, ogni tanto si autocelebra, convocando ora gli amici stretti, ora tutti i parlamentari di Forza Italia qua e là (a qualche giornalista in vena di parallellismi letterari, uno di questi incontri ricorda le atmosfere del noto romanzo di Leonardo Sciascia, Todo modo…). In Sicilia, pur apparendo meno, sistema i suoi amici nei posti chiave. Amici per modo di dire, perché tanti di questi personaggi – avvocati, ingegneri e, in generale, professionisti – dopo essere stati beneficiati da lui, lo hanno piantato in asso. Ha fatto così Musotto,il sindaco mancato di Palermo. E non sembra più vicino al buon Gianfranco nemmeno l’avvocato Gaetano Armao, oggi ‘mente’ del presidente, Raffaele Lombardo, nel ruolo di assessore regionale.

 

 

Miccichè, Bevilacqua & Lumia

Forse uno dei pochi uomini forti e importanti di Miccichè che gli è rimasto amico è l’ingegnere Nino Bevilacqua, oggi uno dei professionisti più influenti della Sicilia. Soprattutto quando si parla di lavori pubblici. ‘Governatore’ dei ‘mari’ che si distendono da Palermo a Termini Imerese, punto di congiunzione tra i sistemi di potere di Miccichè, degli ex democristiani e del parlamentare nazionale del Pd, Giuseppe Lumia, l’ingegnere Bevilacqua è, in materia di lucrose opere pubbliche – dai porti alle autostrade – l’uomo in grado di pronunciare l’ultima parola.

Tra un errore e l’altro, si arriva al 2006. Miccichè vorrebbe candidarsi alla presidenza della Regione. Ma Totò Cuffaro resiste. Nonostante sia sotto processo, si ricandida e viene rieletto. A Roma le elezioni le ha vinte il centrosinistra, anche se di poco. E’ tornato, anche se per poco, il governo Prodi. Così Miccichè è ‘disoccupato’. Che fare? Non resta che la presidenza dell’Ars. Poltrona che il leader azzurro va ad occupare.

L’arrivo di Miccichè sul più alto scranno di Palazzo Reale – anzi, il ritorno di Miccichè in Sicilia – visto che per sei anni, a Palermo e dintorni si è visto poco, non viene vissuto bene dagli azzurri siciliani. I ‘ragazzi’ che Gianfranco a portato nell’agone politico a partire dal 1994 sono cresciuti. Dodici anni dopo nessuno di loro sembra disposto a genuflettersi ai voleri e ai diktat di Miccichè. Il quale, da parte sua, comincia a vedere ‘nemici’ dove forse non ci sono. O dove, forse, ci sono soltanto persone che cominciano a mal digerire una leadership imposta dall’alto e non frutto di un libero e democratico confronto dal basso.

Tra il 2006 e il 2008 Miccichè trova il modo di farsi ‘apprezzare’ anche dal parlamento dell’Isola, nominando Alberto Acierno alla direzione della Fondazione Federico II. Braccio operativo dell’Ars, la Fondazione è stata inventata dall’ex presidente dell’Ars, Nicola Cristaldi, per finalità culturali. Con Miccichè presidente (e Acierno direttore) ne succedono di cotte e di crude: soldi di qua, sperperi di là. La storia finirà tutti in Tribunale, con un processo a carico di Acierno che è ancora in corso.

Siamo arrivati nel 2008, l’anno del ‘capolavoro’ di Miccichè. Febbraio, se non ricordiamo male. Cuffaro viene condannato. Miccichè è il suo successore naturale alla presidenza della Regione. Certo già allora gli altri esponenti di spicco del centrodestra siciliano non morirebbero per lui. E, come abbiamo già accennato, non è popolare nemmeno nel suo partito. Ma nessuno avrebbe messo in discussione la sua candidatura a palazzo d’Orléans. Soprattutto con l’eventuale ‘benedizione’ di Berlusconi. A Miccichè viene chiesto solo di stare zitto.

 

“Il presidente dei cannoli”

Invece, forse perché in un momento di scarsa lucidità, proprio nel giorno più difficile di Cuffaro al quale la giustizia ha rifilato una condanna, prendendo spunto dall’ ‘infelice’ vicenda dei cannoli, Miccichè decide di sparare a zero sul presidente della Regione dimissionario. Una caduta di stile (bon ton che, in realtà, Miccichè non ha mai avuto: e di questo gliene va dato atto). E, soprattutto, un errore politico. Tranne i suoi fedelissmi, che stanno passando alla storia per non avere mai pensato con la propria testa, buona parte del centrodestra gli sbarra la strada: non lo vogliono candidato alla presidenza della Regione.

Lui, Gianfranco, le prova tutte. Va da Berlusconi e lo invita a fare il ‘padrone’ anche in Sicilia. Il Cavaliere ci prova e va a sbattere. Gianfranco insiste. E dal suo blog si esibsce in una serie di bizzarre intemperanze. Si racconta che una notte convoca un parlamentare regionale dell’Udc di origini agrigentine. E gli dice: “Voi agrigentini siete tutti uguali”, con chiaro riferimento a Cuffaro e ad Angelino Alfano. Dimenticando, però, che suo padre Gerlando è agrigentino, se non ricordiamo male di Favara. Poi aggiunge: “Io diventerò presidente della Regione perché con me c’è Berlusconi…”. Le classiche, ultime parole famose: ventiquattr’ore dopo Raffaele Lombardo è già in campagna elettorale in qualità di candidato del centrodestra alla presidenza della Regione.

Gianfranco incassa e porta a casa. Persino il suo blog tace. “Chi è causa dei suoi mal pianga se stesso”, recita un vecchio adagio. Si sarà pentito, Miccichè, di aver attaccato gratuitamente Cuffaro per la storia dei cannoli? Non lo sappiamo.

 

Gianfranco & Raffaele

 

A questo punto, quello che è passato alla storia – pur senza averne tutti i meriti, come abbiamo già scritto – come il protagonista del 61 a zero, comincia ad inanellare errori su errori. Qualche giorno dopo l’elezione di Raffaele Lombardo a presidente della Regione, si va a sedere con lui ad una conferenza stampa dove si parla di un rilancio dell’autonomia siciliana fatta più di chiacchiere che di fatti (l’unica ‘autonomia’ che Lombardo ha rilanciato dal 2008 ad oggi è quella del clientelismo).

Già dalla primavera del 2008 Lombardo ha un accordo sottobanco con ‘pezzi’ del Pd siciliano. Il neo presidente della Regione guarda ‘lontano’: guarda, soprattutto, agli uffici del Tribunale di Catania dove sono in corso indagini su di lui pesanti come macigni. E quando ci sono di mezzo indagini giudiziarie, si sa, la presenza degli ex comunisti vale molto di più della ‘Consolazione della filosofia’ di Severino Boezio.

Non sappiamo se Miccichè, nel 2008, aveva chiaro il quadro dei rapporti, allora ‘sotterranei’, tra Lombardo e il Pd. Ma sappiamo che, pur di fare un dispetto ai suoi compagni di partito del Pdl, Gianfranco avvia la ‘tresca’ con Lombardo, in sintonia con il capogruppo del Pd, Antonello Cracolici, con il quale aveva già intavolato ‘contatti’ quando ricopriva la carica di presidente dell’Ars. Nel 2009 Lombardo sbatte fuori dal governo il Pdl, ‘imbarcando’ nella sua giunta ‘trasformista’ gli uomini di Miccichè che, per l’occasione, hanno spaccato il loro partito dando vita a una delle più grandi ‘invenzioni’ della politica siciliana degli ultimi cinquant’anni: il Pdl Sicilia. In pratica, Miccichè, insieme con alcuni sui amici e compagni di partito ‘intelligenti’ e ‘lungimiranti’ quanto lui, si danno un gran da fare per segare il ramo dell’albero dove sono seduti.

In verità, va detto che il ramo era veramente grande e resistente. Ma Miccichè e i suoi amici, con ‘commovente’ abnegazione, lavorano giorno e notte per ‘piegare’ la resistenza del ramo che , alla fine, per la loro ‘felicità’, cede, ‘sdivacandoli’ a terra.

Questo succede quando Lombardo ufficializza quello che era già ufficiale da tempo (e che non era ufficiale solo per i ‘minchioni’): l’accordo con il Pd. Miccichè, che nel frattempo, dopo la ‘genialata’ del Pdl Sicilia ha dato vita all’ennesimo, ‘originale’, partito-movimento – Forza del Sud, si ritrova a mare.

 

Ancora il sogno: la presidenza della Regione

 

Siamo arrivati ai nostri giorni. Berlusconi, a Roma, è stato disarcionato da massoni e banchieri (ammesso che in Italia ci sia differenza tra le due categorie). Miccichè, in Sicilia, ha sbriciolato il blocco sociale che dava vita al centrodestra. E ha dato vita a due giocattoli: Forza del Sud nell’Isola e Grand Sud a Roma. L’obiettivo è quello di intercettare almeno una parte dei voti di un Sud che, preso in giro dal 2008 ad oggi dal Cavaliere, è piuttosto deluso. Insomma, la solita solfa del rilancio dell’autonomia (in Sicilia) e della questione meridionale (nel resto del Sud) per cercare di accalappiare gli ingenui.

Lui, Miccichè, non perde il suo proverbiale ottimismo. E’ ancora convinto – e ogni tanto lo dichiara pure ai giornali – che sarà lui il candidato alla presidenza della Regione? Di quale schieramento? Del centrodestra che ha distrutto? Vattelappesca! Intanto Lombardo gli invia segnali distensivi. Tra disperati ci si può sempre capire…

 


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L’ultima puntata di questo ‘medaglione’ su gianfranco miccichè la facciamo partire da un raffronto tra la primavera del 2001 e oggi. Dieci anni fa, subito dopo la vittoria di totò cuffaro alle elezioni regionali (e, soprattutto, dopo il già citato 61 a zero delle elezioni politiche), il centrodestra siciliano appare imbattibile. I voti, alla fine, definiscono anche il quadro di una società. Danno la misura - se c’è - di un blocco sociale dominante. E tale appariva l’isola allora: una regione con un blocco sociale moderato in grado di ‘macinare’ qualunque candidatura del centrosinistra. Interessi, rapporti tra politica e mondo economico, assistenzialismo diffuso, se non capillare. In una parola, una regione autonoma - la sicilia - con una struttura produttiva fortemente legata alla spesa pubblica (e, forse per questo, fragile).

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