Regione, la Corte dei Conti si è ‘svegliata’

La verità è solo una: il bilancio 2010 approvato da Sala d’Ercole lo scorso aprile non avrebbe dovuto ricevere il ‘benestare’ della Corte dei Conti. E avrebbe dovuto essere impugnato dal commissario dello Stato per la Regione siciliana. Negli ultimi quindici anni i bilanci della nostra sempre più scalcagnata Regione, soprattutto sul fronte delle entrate, non sono mai stati veritieri. Ma, si sa, c’è sempre un limite a tutto. Come si dice dalle nostre parti, è bonu ‘u ventu ‘nchiesta, ma no p‘astutari i cannili… (ben venga il vento fresco dentro la chiesa, evitando, però, di farne arrivare così tanto da spegnere le candele: traduciamo perché, visto che siamo sulla rete, non è detto che tutti quelli che ci leggono conoscono la nostra lingua).

Ora il limite sembra, se non passato, almeno fissato. Un perimetro individuato dalla presidente della Corte dei Conti per la Sicilia, Rita Arrigoni: niente più ‘annacamento’ sulla sanità. La presidente parla di “rinegoziazione” con Roma della quota di compartecipazione. Che significa? Che Roma dovrà ‘scucire’ più soldi per la sanità siciliana?

La mossa della Corte dei Conti mette a nudo, più di tutte le polemiche di questo ultimo anno, il vero nodo del bilancio regionale: le spese per la sanità che, lungi dall’essere diminuite, sono cresciute. Certificando, per chi avesse ancora qualche dubbio, il fallimento pressoché totale del governo Lombardo e, in particolare, della gestione di questo delicato settore da parte dell’assessore Massimo Russo.

Con molta probabilità, la mossa della Corte dei Conti non è solo farina del sacco siciliano. A Roma non sono stupidi. E ancora meno ingenui sono gli esponenti del nuovo governo nazionale che, da banchieri ‘scafati’, sanno far benissimo di conto. Non ci vuole molto a capire che la Regione siciliana è molto vicina al dissesto finanziario. Per quest’anno il mutuo della sanità – 750 milioni di euro circa – è stato pagato con le risorse Fas (Fondi per le aree sottoutilizzate, soldi, per inciso, che sarebbero dovuti servire per le infrastrutture…). Per il prossimo anno i soldi dovrebbe ‘cacciarli’ Roma. Ma questo non avverrà, perché il governo Monti, stando a quel poco che fino ad ora si è capito, non sembra nato per allargare i cordoni della borsa, ma per chiuderli.

Morale: prepariamoci al voto, ovvero alle elezioni regionali.

Quanto a noi siciliani, ebbene, prepariamoci al peggio. Il nostro Gaspare Nuccio, nel giro di interviste con i capigruppo all’Ars, pone a tutti una domanda: che fare con una Regione che ‘viaggia’ con 5 miliardi di euro di deficit? Il capogrupppo del Pdl, Innocenzo Leontini, forse uno dei deputati più preparati dell’Ars, dice che il vero dramma provocato dal governo Lombardo è la mancata spesa dei fondi europei. Tesi, questa, ribadita due giorni fa dal presidente della commissione Bilancio dell’Ars. Riccardo Savona.

Con tutto il rispetto verso due parlamentari di lungo corso, ci permettiamo di aggiungere che la situazione è molto più grave. Per almeno due motivi. In primo luogo perché, ancora oggi, nessuno conosce le passività delle 34 società a partecipazione regionale (sono ancora 34 perché la riforma, strombazzata dal governo da mesi, è bloccata). Al 31 dicembre 2009 si vociferava di passività pari a 5 miliardi e 700 milioni di euro. Voci, ovviamente. Perché il governo Lombardo, in barba alla legge, fino ad oggi, si è guardato bene dal rendere pubblici i bilanci di queste società. L’unica cosa che è venuta fuori è che, in queste società, alle circa 10 mila assunzioni per chiamata diretta (da parte dei politici, ovviamente) fatte negli anni passati, si sono sommate altre 2 mila assunzioni ‘pilotate’ dal governo Lombardo. Non vorremo essere pessimisti ma, fatti due conti, se un giorno lo Stato dovesse riconoscere alla Sicilia le accise sulla raffinazione del petrolio grezzo – i ‘famigerati’ 10 miliardi di euro all’anno – ebbene, questi soldi servirebbero a malapena ad appianare il ’buco’ di cassa della stessa Regione.

C’è, poi, un secondo motivo che rende ancora più drammatico lo scenario economico dell’Isola. Non è vero che i fondi europei non sono stati spesi. In minima parte sono stati spesi. E sono finiti, per lo più, nel calderone delle spese correnti. Le rassegne culturali, o pseudo tali, dell’assessorato regionale al Turismo (Circuiti del mito, feste & festini vari) sono state finanziate con i fondi europei della programmazione 2007-2013. Idem per altre manifestazioni. Detto inparole povere, le risorse nazionali e comunitarie destinate alla Sicilia per le infrastrutture finiscono per alimentare la spesa pubblica improduttiva.

Non va meglio nel capoluogo dell’Isola. Il governo regionale, che a nostro avviso dovrebbe già essere commissariato da un pezzo, vorrebbe commissariare il Comune di Palermo. Non ce n’è bisogno,, perché con la caduta del governo Berlusconi il sindaco Cammarata è già commissario di se stesso. Ci permettiamo di ricordare che, nell’ultimo anno e mezzo, il governo Berlusconi è intervenuto, in favore della scombiccherata giunta Cammarata, tre o quattro volte. Ora con 30 milioni di euro, ora con 50 milioni di euro, ora con 80 milioni di euro. Soldi presi, tanto per cambiare, dal Fas (in questo Lombardo per la sanità e Cammarata per i precari pari sono). Risorse impiegate in minima parte per lavori pubblici e in massima parte per il precariato.

Ora Berluconi non c’è più. E Cammarata, molto verosimilmente, si attaccherà al tram.


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La verità è solo una: il bilancio 2010 approvato da sala d’ercole lo scorso aprile non avrebbe dovuto ricevere il ‘benestare’ della corte dei conti. E avrebbe dovuto essere impugnato dal commissario dello stato per la regione siciliana. Negli ultimi quindici anni i bilanci della nostra sempre più scalcagnata regione, soprattutto sul fronte delle entrate, non sono mai stati veritieri. Ma, si sa, c’è sempre un limite a tutto. Come si dice dalle nostre parti, è bonu ‘u ventu ‘nchiesta, ma no p‘astutari i cannili. . . (ben venga il vento fresco dentro la chiesa, evitando, però, di farne arrivare così tanto da spegnere le candele: traduciamo perché, visto che siamo sulla rete, non è detto che tutti quelli che ci leggono conoscono la nostra lingua).

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